Professore ordinario di Arboricoltura e Coltivazioni Arboree dal 2005, per Francesco Ferrini gli eventi storici hanno portato l’umanità a un punto di non ritorno. Una situazione che non è irrecuperabile, ma che ormai necessita di interventi ben precisi: in particolare, quello di piantare alberi.
Il primo spartiacque è senza dubbio la pandemia da Covid-19, che ci ha fatto capire che c’era qualcosa di verde con un nome e che non è andato in lockdown ma che, anzi, ha ripreso vigore. Ce lo hanno dimostrato le statistiche delle ricerche su Google: le frasi “fare una passeggiata” o “dove andare a passeggiare” hanno avuto una vera e propria impennata.
«Eppure, appena la vita è tornata alla quasi normalità, si è perso di nuovo tutto quanto» afferma Ferini. «È vero, la città è caotica, rumorosa e frenetica, ma può essere vivibile grazie alle aree verdi. L’importante è non dimenticare quello che c’è stato e accorgersi degli alberi».
Il riferimento è al concetto di Plant Blindness elaborato nel 1999, secondo il quale ci accorgiamo della presenza delle piante nel momento della loro assenza. «Siamo abituati a pensare che le piante siano immobili. Sono sessili, sì, ma mutano in base a fattori esterni come il vento e la temperatura. Cambiano, ma la loro evoluzione va a vanti da molto più tempo della nostra e avviene in modi che noi non riusciamo a percepire».
Ci sono così piante che risorgono grazie a poca acqua e altre, come il bambù, che crescono di 1,20 cm al giorno. Le piante non servono solo a produrre qualcosa: le dovremmo accudire perché ci fanno stare bene, migliorando non solo la qualità dell’aria, ma riducendo anche i nostri deficit d’attenzione.
«Ora bisogna avere cura del verde, con piccoli gesti, specie in città, dove l’acqua è sporca per gli alberi e i parcheggi creano problemi all’apparato radicale» afferma il professor Ferrini. «L’unico modo per ridurre l’entropia è piantare gli alberi: in Italia ci siamo svegliati tardi, ma abbiamo fatto passi da giganti. La raccolta differenziata e quella porta a porta daranno i loro frutti. La natura riuscirà a cancellare la nostra presenza: il problema è il contrario, e cioè se noi riusciremo nel folle intento di cancellare la presenza della natura. Basterebbe cominciare a pensare di fare qualcosa che non nuoccia agli altri: come ci siamo entrati, riusciremo a uscirne».
Ma come siamo arrivati a questo punto? Secondo Ferrini, diversi eventi ci hanno condotto alla situazione attuale: senza dubbio le due guerre mondiali, specie nel desiderio di alcuni di arricchirsi tramite le disgrazie altrui. In seguito, negli anni Settanta, gli ambientalisti cominciarono ad avvertirci, anticipando quello che sarebbe accaduto. Eppure con la cultura di massa, anche tramite la musica – basti pensare a Marvin Gaye, Joni Mitchell, Giorgio Gaber – si denigrava la campagna; un trend che ha causato una forte rottura, dagli anni Ottanta fino all’inizio del Duemila, in parte invertito dall’azione di Greta Thunberg, che è riuscita a risvegliare la coscienza dei giovani.
«Ormai è chiaro che non si può affrontare il problema con le condizioni che l’hanno creato: la situazione è ormai vicinissima al disastro. È come se la Terra fosse stata distrutta negli ultimi tre minuti della sua vita».